Il viaggio di Arlo - Breve commento su uno dei film Pixar più sottovalutati
Era il lontano 2015 (che nel mondo post coronavirus è come parlare del 1960) quando la Pixar fece uscire quella bomba di film d'animazione chiamata Inside Out, una autentica perla che è servita ad alzare ulteriormente l'asticella qualitativa delle produzioni della Casa di Topolino. Inside Out infatti, con i suoi innumerevoli livelli narrativi, ha avvicinato un pubblico veramente vasto (dal bambino/ragazzino in cerca di gag divertenti all’adulto in cerca del suo io-ragazzino perduto e che si ritrova, a sorpresa, a fare i conti anche con basi di psicologia e studi sulle emozioni), gettando le fondamenta per un altro film che sarebbe uscito anni più tardi, dove si fa leva su contenuti più “adulti” quali spiritualità e rapporto con il mondo che ci circonda (Soul).
Era il 2015 dicevo, e la Pixar quell’anno decide di fare le cose in grande facendo uscire ben due film; oltre ad Inside Out viene distribuito, infatti, Il Viaggio di Arlo (the good dinosaur). La storia è abbastanza semplice e già vista, più o meno, in altri film: un piccolo di dinosauro incontra un “cucciolo” di essere umano e si ritrova ad intraprendere un viaggio assieme a lui (non scendo troppo nei dettagli per evitare spoiler, anche se…. 2015… spoiler… 6 anni fa…vabbè). Il tipico viaggio di formazione dell’eroe, dove grazie alle disavventure che gli si parano davanti il protagonista cresce e matura.
Quando vidi questo film la prima volta 6 anni fa – confesso – mi addormentai.
Eh già.
Lo avevo visto nella mia vecchia stanza, a casa dei miei genitori (quando vivevo ancora con loro) su un sito di streaming, quindi con una qualità non impeccabile, e crollai. Una volta sveglio feci spallucce e dissi “vabbè, pace, tanto non mi pareva granché” e continuai la mia vita di sempre.
Qualche giorno fa, spinto dalla voglia di far vedere a mio figlio di 3 anni e mezzo un film diverso dal solito (ormai ho imparato a memoria tutti i Toy Story) ho proposto Il viaggio di Arlo di cui non avevo più il benché minimo ricordo, quindi fu come vederlo per la prima volta.
A fine film avevo due occhi gonfi come zampogne.
La prima cosa che salta subito all’occhio è la grafica. Definirla uno spettacolo è poco; in questo film, dove la natura la fa da padrona, siamo ai livelli del fotorealismo: le montagne, gli alberi, la terra e le rocce, tutto è dettagliatissimo, vivo e pulsante. L’acqua, l’elemento principe di questo film in tutte le sue declinazioni, è rappresentata in modo perfetto grazie alla fluidità del movimento, i giochi di luce e i riflessi.
I temi principali del film, ovvero l’amicizia, la famiglia, le responsabilità (per trovare un posto nel mondo) e il distacco sono messe in scena molto bene, ma a differenza della maggior parte dei film Pixar non è presente la solita grande alternanza tra gag comiche (si contano sulle dita di una mano) e momenti drammatici; tutto il film è un lungo racconto nostalgico, ma anche ricco di momenti spensierati (che sennò uno a fine film si butta da un balcone).
A fine film avrete aperto i rubinetti (in tutto il film almeno 2 o 3 scene sono da Cascate del Niagara) ma vi sentirete soddisfatti di ciò che avete visto.
In conclusione mi sento di dire, come da titolo, che questo film non ha ricevuto a pieno il successo che avrebbe meritato. Il Viaggio di Arlo è una piccola perla passata – ahimè – un po’ in sordina per la scelta scellerata di farlo uscire lo stesso anno di Inside Out. Se fosse uscito come unico film dell’anno di Pixar molto probabilmente sarebbe nell’elenco dei grandi Classici Pixar assieme a Toy Story, Up, Wall-e e compagnia bella.
Straconsigliato


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